Lavorare nella moda

Roberta Manganelli

ROBERTA MANGANELLI

lavoratrice autonoma,  48 anni con due figlie di 12 e 5 anni, lavora nel settore moda dal 1989 come consulente stilista design collezioni maglieria, total look uomo e donna e consulente collezioni filati.

Una grande passione, la voglia di esprimere la propria creatività e la gioia di essere donna e madre. Da un’idea prende forma un abito: per farlo si compongono forme e colori, fasi di lavoro, si distribuiscono i compiti fra soci e collaboratori. Con proporzione: nasce così  l’armonia,  l’accordo ed il  legame fra le parti che in alcuni momenti  ha ritmi vivaci e in altri fluisce. Fra le maglie dei tessuti, sul lavoro, fra le persone.

Roberta  ci racconta come è riuscita e riesce in un lavoro creativo e coinvolgente: con successo, perche’ il successo è fare bene cio’ che amiamo.

1. Che studi hai fatto e cosa facevi prima di metterti in proprio?

Dopo aver conseguito la maturità linguistica nel 1984, ho frequentato l’Istituto Marangoni a Milano, un corso triennale di specializzazione di disegno di moda con indirizzo maglieria uomo/donna

2. C’è un momento, un’occasione in cui scatta la molla che ci fa decidere: qual’ è stata per te la molla che ti ha fatto dire “voglio fare qualcosa di mio”?

Dopo varie esperienze lavorative presso note case di moda (Mila Schon, Dolce Gabbana e altri brand minori), a volte anche non retribuite,

ho deciso di mettermi in proprio per poter esprimere pienamente le mie potenzialità creative.

Con molta fatica ed impegno sono riuscita a crearmi una rete di clienti che mi hanno dato fiducia ed ho consolidato nel tempo.

3. Raccontaci del tuo lavoro

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Ho uno studio di design e consulenze stilistiche nato nel 1998 come studio “associato” con la collaborazione di altre persone che lavorano nello stesso campo, ma anche con mansioni diverse in modo da sfruttare tutte le esperienze e sinergie da mettere a disposizione dei clienti.  Per avviare tutto ciò non ho avuto la necessità di richiedere alcun finanziamento; le spese di gestione dello studio sono sempre state suddivise in modo equo. Attualmente ho un socio-collega con il quale collaboro da molti anni e una designer che si occupa principalmente del lavoro esecutivo.

4. La tua giornata-tipo

  • Ore 7 sveglia, accompagno le bambine a scuola/asilo

  • Ore 8.30/9 ufficio controllo mail e organizzazione del lavoro giornaliero, a seguire visita quando é programmata presso i clienti (Milano, Carpi, Firenze, Brescia)

  • Ore 18/18.30 fine della giornata quando sono in ufficio (Devo dire che ogni giornata é diversa dall’altra, solo in fase di progettazione mi fermo molto in ufficio, altrimenti sono in giro nelle aziende a seguire la realizzazione dei prototipi)

5. Quali difficoltà  hai incontrato?

Lavoro e famiglia devono trovare la giusta armonia; l’aiuto dei miei familiari é stato ed é fondamentale. La principale difficoltà che ho riscontrato quando sono diventata lavoratrice autonoma é stata gestire il lavoro dello studio e seguire la realizzazione delle collezioni in azienda in quanto

il tempo non bastava mai; ecco perché ho pensato ad uno studio associato in modo che ognuno avesse i propri compiti e in caso di necessità uno poteva sostituire l’altro, cosa che a una donna con famiglia capita molto spesso.

6. Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Il mio lavoro é essenzialmente un lavoro creativo in cui la passione é la cosa più importante; è sicuramente un lavoro ricco di soddisfazioni, tutto parte da un’idea schizzata che poi prende forma e diventa un capo di abbigliamento; sono nata nella boutique milanese di famiglia ,

mi é sempre piaciuto essere a contatto con le donne che amano vestirsi e sentirsi diverse.

7. C’è chi sostiene che le donne debbono sempre impegnarsi il doppio, per dimostrare quel che valgono.  La tua esperienza?

Per quanto riguarda la mia esperienza non ho avuto particolari difficoltà in quanto donna, certo é che una donna deve dividersi tra impegni lavorativi e famiglia quindi in questo senso deve dimostrare di impegnarsi il doppio.

8. Vantaggi e svantaggi del lavoro in proprio

Sicuramente uno dei vantaggi é l’auto gestione del lavoro e l’indipendenza;  il mettere in gioco le tue competenze e conoscenze é sempre rischioso, ma l‘indipendenza e la possibilità di esprimere compiutamente le tue doti creative, sottoposte al solo giudizio del cliente, non hanno confronti ed é sempre gratificante.

9. Ti confronti o lavora insieme ad altre imprese?

Lavoro a stretto contatto con le aziende che mi commissionano il lavoro, cercando di comprendere al meglio le loro esigenze e molto spesso mi confronto con le loro problematiche che inevitabilmente sorgono.

10. Per sviluppare la tua attività o per lavorare meglio, di cosa senti necessità?

Vorrei avere molto più tempo a disposizione.

11. Tre consigli a chi oggi vuole aprire un’attività

1- credere in se stessi e nelle proprie capacità

2- avere passione per questo lavoro

3- tenacia, umilta’, accettare le critiche e farne tesoro per migliorarsi

12. Ti chiedi mai : ma chi me l’ha fatto fare? E come ti rispondi?

No, sono contenta di quello che ho fatto finora, anche se non sono mancati momenti di sconforto, amo il mio lavoro e sono fortunata di poterlo svolgere anche con la comprensione della mia famiglia.


Mi prendo la luna (ovunque sia)

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Chi l’avrebbe mai detto, che dopo avere ispirato sogni, poesie, canzoni, quadri, fatto riflettere e gioire, dopo essere stata complice di innamoramenti, dopo tanti rapimenti, chi l’avrebbe mai detto che la luna sarebbe stata usata dall’onorevole Mole’, deputato italiano, per dirci che ““da studi specifici sulla funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche dell’ uomo e della donna risultano certe diversità, specialmente in determinati periodi della vita femminile” e pertanto – questo e’ l’onorevole Codacci -“la donna non può giudicare”, fare il magistrato. (Tutte le dichiarazioni, che non risalgono al medioevo, compresa quella di un futuro Presidente della Repubblica le trovate qui ). Le porte della magistratura le donne le aprirono dopo il ricorso di Rosanna Oliva alla Corte Costituzionale, che diede alle donne il pieno accesso agli uffici pubblici nel 1960: 5 cittadine italiane vinsero il concorso nel 1963 ed entrarono in magistratura nel 1965. Rosanna Oliva oggi è Presidente di Aspettare Stanca. Stanca, davvero: una delle prime donne magistrato, Livia Pomodoro, è stata anche la prima donna ad essere nominata Presidente del Tribunale di Milano: nel 2007, dopo 42 anni, 42 anni, in magistratura.

Cosa vuol dire? Forse che ci sono persone che hanno opinioni bizzarre (e le raccontano in modo bizzarro) ed altre che si impegnano a portare avanti le proprie idee e realizzare sogni, propri ed altrui. Studiano, lavorano, faticano, provano, riprovano e cambiano le cose. E, alcune, nel frattempo si innamorano, allevano figli, fanno la spesa, bruciano la cena, vanno al cinema, si innamorano di nuovo, puliscono sederi, leggono romanzi, stanno in coda, litigano, ridono, stirano, comprano un altro paio di scarpe. Epperò! Non e’ mica difficile, no?

COSA E’ DIFFICILE

A parte scrivere per la festa della donna, l’ottomarzo: un sacco di parole, oggi. “E’ questa la declinazione più frequente dell’indifferenza: si neutralizzano le richieste di cambiamento in un fragore di applausi” – Marco Paolillo sul Sole 24ore del 25.11.12. Cosa e’ più difficile per una donna? Alcune persone, uomini e donne, han voluto rispondere a questa domanda: qui ci sono le loro riflessioni e le loro parole. Quasi unanime l’osservazione “difficile rispondere”. Domanda mal posta, allora, non c’e’ niente di difficile. Per alcune , e’ difficile fare tutto, ricoprire al meglio diversi ruoli, trovare il tempo per se’. Spesso le imprenditrici dicono che no, loro non hanno trovato più difficile aprire un’impresa e farla crescere perche’ donne. Donne capaci possono essere brave imprenditrici, essere brave nel proprio lavoro (almeno) quanto gli uomini capaci. Più difficile il resto, il tenere insieme, lo dicono anche le parole degli uomini che ci vedono divise tra lavoro/casa/figli. E’ una questione questa che torna sempre e tocca tanti aspetti, a cominciare dai servizi pubblici e dall’organizzazione del lavoro. Proviamo oggi a trovare un’altra possibile strada, praticabile subito, adesso.

Se quel tenere insieme fosse anche: fare insieme? condividere con altre persone. Condividere compiti e responsabilità, condividere spazi e tempi, condividere progetti e trovare insieme soluzioni.

Insieme sul lavoro, fare insieme un’impresa, decidere ad esempi oche quando i servizi pubblici mancano o sono carenti, li non ci rassegnamo e proviamo a progettarli e realizzarli insieme, cittadini ed istituzioni. Fra qualche giorno, Roberta Manganelli ci racconterà di come ha sviluppato la sua attività nel mondo della moda. Altre imprenditrici hanno dato la loro disponibilità a condividere e raccontarsi: anche questo e’ un modo per fare insieme.

FIN DOVE SI PUO’ ARRIVARE

251785_edurne_pasaban_dest_2Edurne Pasaban – la prima donna a scalare tutti i 14 ottomila della Terra – dice di se’ “credo di essere una persona fortunata a fare quello che io voglio”. Una persona che non ha fatto alcune cose per farne altre, per vivere la propria passione. La sua definizione dell’estremo e’ questa: che tu scali un ottomila o timbri il cartellino alle 8

qualunque cosa fai, devi sapere qual’e’ il punto dove tu puoi arrivare

Volere. E potere. Conoscersi e mettersi alla prova, senza superare il limite, ma spostandolo man mano, fin che si può. Volere e potere: capacità, possibilità di influenzare gli altri, autorità, potenza decisionale. Quale potere?

NIENTE BUGIE

A volte

le donne al massimo fanno un doppio di tennis – gli uomini riescono a mettere in piedi una squadra di rugby!

Ma cosa vuol dire squadra? Risolvere, anziche’ parlarne. Trovare il modo per risolvere i problemi e sfruttare le occasioni, senza dire toccava a te, a me, a lui: e’ il risultato che conta, per tutti. E ricordarsi, sempre, che

non si può dire all’avversario passami una palla facile.

Lo spiega un allenatore, secondo alcuni un bravissimo allenatore, Julio Velasco, qui. E anche per lui

non ci sono cose facili o difficili. Ci sono cose che sai fare o che non sai fare

BE DIFFERENT

La cosa più difficile e’ rispettare ed affermare la propria differenza, la propria verità –

rispettare l’altro non cedere alle certezze e rassicurazioni del così fan tutti, alle consuetudini, alle convenzioni….rispettare il valore della differenza, non solo di genere.

Ci ha detto un’amica. Essere unici e’ un valore e deve essere considerato tale. La cosa bella e’ che vale per tutti, nel senso che dà un vantaggio a tutti: ai singoli e alla collettività.

E si, vale anche nella vita d’impresa: avere capacità distintiva. Saperla comunicare. Tra l’altro, la prima lezione di marketing di solito e’ “copiare, nella comunicazione, non rende mai”. Ma non basta: esplorare, non fermarsi, cercare nuovi bisogni e nuove soluzioni, immaginare il domani.

Rispettare gli altri, le persone che lavorano con noi , fornitori e clienti. Anche se gli altri fanno diversamente. Ivanhoe Lo Bello, imprenditore siciliano che si e’ impegnato molto in questi anni per pretendere ed ottenere il rispetto delle regole, chiedendo a tutti di dire NO, ha usato proprio queste parole “combattere la mafia conviene”, rispettare le regole fa bene anche al portafoglio.

THINK DIFFERENT

Un’osservazione molto interessante mette in evidenza i legami fra cultura e rispetto

Il deficit culturale della nostra Italia, “sì bella e perduta”, è ancora gravissimo: non c’è rispetto per le donne come non c’è adeguato rispetto per l’ambiente, per le risorse culturali, per il bello immateriale e non profit

E così capita anche che siano le donne a farsi trascinare da modi di pensare generati da un’incultura di fondo, che per ignoranza e timore non sa capire che le differenze e’ ricchezza, umana ed economica. Questa può essere la cosa più difficile

liberare sé stesse da una visione maschilista

Come?

Un certo tipo di “culturismo” si combatte con la cultura. In tutte le sue forme: educazione al bello, apprendimento, conservazione e valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio “storico” – che vuol dire musei e ville e giardini e storia del lavoro e delle produzioni, paesaggi, fatiche e sacrifici, sviluppo della creatività, innovazione. Cultura d’impresa, diffusione di esempi positivi. Cultura della legalità. Rispettare le regole, semplicement,e e farle rispettare.

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Ce lo ricorda ad esempio Letizia Battaglia, fotografa italiana che si definisce così

mi prendo il mondo ovunque sia

Sua e’ questa famosa foto di Rosaria Schifani, vedova di Vito, ucciso a maggio di 21 anni fa.

QUATTRO PROPOSTE SEMISERIE PER L’8 MARZO

  • Niente fiori? Qualche idea era già qui. Oppure andiamo insieme a fare orti e giocare a Montorfano – Somariamente. Regaliamoci o regaliamo biglietti e abbonamenti del festival Tones of the Stones – ideato e realizzato da una donna, Maddalena Calderoni. Andiamo in biblioteca dove ci sono in sacco di eventi e cose da fare.
  • Pensiamo diverso il rapporto con il denaro. Ad esempio, partecipando agli incontri organizzati dall’Associazione Libera del VCO, il programma e la registrazione degli incontri già avvenuti le trovate qui
  • Una borsa, nuova o prestata. una borsetta. Piccola, che ci stiano solo chiavi, portafoglio, telefono, tablet se lo usate, un libro. Si, è un modo per cambiare, almeno per tutte quelle signore che han per borsa una valigia. Dentro ci sono anche, sempre, calzini e biancheria di ricambio per bimbi, pezzi di giochi, merende di emergenza, magari un cerotto o due, biberon, pannolini, ciucci, sonagli, libricini, pennarelli. Sì, di solito c’e’ anche un libro, magari un romanzo, che non si sa mai. Loro, invece, han le tasche: fazzoletto, portafoglio, telefono, chiavi. Salvo che in versione da ufficio, c’e’ la borsa per il tablet . Ecco, viaggiamo leggere, facciamo portare il resto a loro. Almeno qualche volta, come gesto simbolico ma non solo: e’ con l’abitudine, che si cambia
  • se volete scoprire qualcosa di nuovo sulla natura umana, non perdetevi questo – Human Nature

(e forse, potremmo decidere di farci sorprendere qualche volta senza diadema, come la Natura – per parafrasare Emily Dickinson. Non possiamo cambiare il mondo facendo tutto insieme)


Ne’ sole ne’ male accompagnate (il nostro caso e’ prosa e non poesia)

DavidHenryPhotography15Meglio così, a volte, no?

Tra poco è l’8 marzo: chissà quante mimose verranno raccolte e vendute, quante verranno posate sulla scrivania o al tavolo della colazione.

Belli i fiori, ma non tutte ne avremo. E anche chi ce li regala, può essere svelto poi, a calpestarli. Svelto di mano, ad esempio.

Meglio così, allora: 1 donna italiana su tre fra i 16 ed i 70 anni è vittima di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (i dati qui) . O sei tu o la tua compagna di banco o quella seduta due file dietro. Sì, cari papà, vostra figlia o la sua compagna di banco o quella seduta due file dietro. Ha ragione il Trap, niente poesia.

Allora, cosa fare per provare a cambiare le cose?

  • Prima di tutto, via i dubbi. L’aggressione fisica, l’abuso sessuale, lo stalking – la persecuzione, sono violenza. Ma anche l’intimidazione, le minacce di aggressione, il controllo continuo.

Il collega, il capo o il cliente che ci mette una mano sul sedere e’ un uomo violento. Il compagno, il fidanzato che ci dice “taci, che non capisci niente” o peggio, sì anche lui e’ un uomo violento. Le critiche continue, le urla sono violenza. “Se mi lasci mi uccido” te lo dice solo un uomo violento.

Molti di questi comportamenti sono reati, alcuni no. Ma tutti sono violenti e provocano danni enormi. Perdita di autostima, fobie e attacchi di panico, ansia e depressione, abuso di droghe/alcool, tendenze autolesioniste o suicide, per tacere delle lesioni permanenti, l’impossibilità di avere figli, la morte. Anche senza arrivare alle botte o peggio, la violenza segna la vita. Per sempre. Segna la vita di chi la subisce ma anche la nostra: perche’ viola la nostra umanità. E provoca danni sociali incalcolabili. Genera anche costi sociali: a volere essere cinici, fermare la violenza conviene, anche economicamente.

Va bene, e poi?

  • Diamo. No, non amore a chi non se lo merita. Doniamo a chi fa. Ci sono centri antiviolenza e persone che si dedicano ad ascoltare, aiutare, accogliere. Tutti malati di cronica mancanza di fondi. Nel Verbano Cusio Ossola ci sono sportelli antiviolenza, associazioni come Terra Donna, cooperative come La Bitta
  • . Ci sono i Consorzi servizi socio-assistenziali a Verbania, Omegna e Domodossola

  • Doniamo a loro, ad esempio : nei negozi di Domodossola, dove e’ allestita una mostra con sagome di donne che hanno subito violenza (scaricate il programma volantino completo marzo 2013-1). Sagome, ma di donne vere, che vivono qui, vicino a noi. Doniamo, allora. Doniamo e poi diciamolo in giro: anzi, portiamoci anche loro, i padri fidanzati mariti fratelli e amici, capi e presidenti, consiglieri e componenti: chiediamo anche a loro di donare.
  • Non chiudiamo gli occhi: ne’ davanti ai comportamenti violenti dei nostri fidanzati, mariti, padri, né davanti a quello che subisce la compagna di scuola, l’amica, la vicina di casa, la collega. Perche’ quelle sagome le abbiamo già incontrate: a scuola, in coda all’ASL, in posta, al cinema, al ristorante, al parco giochi, alla riunione.

“il fenomeno della violenza di genere è trasversale: non conosce differenze di ceto, origine, religione o grado d’istruzione”

E l’8 marzo, niente fiori allora? Fatevi portare o portate voi l’amica, mamma o , figlia a scoprire “da dove veniamo e come siamo riusciti… a popolare l’intero pianeta” e qual’e’ l’origine di tanta diversità qui oppure qui a conoscere una bella Villa del Fai, il suo giardino e un significato diverso dell’espressione “Fuori di sè – Beside of itself” o in libreria a sentire un uomo raccontare di come le donne sono state pioniere del volo e di come che han fatto volare gli altri, con gli aerei e non.

Oppure andate tutti a teatro e portate anche i bambini, perche’ si comincia da qui, da quel che noi insegniamo a loro sull’amore: all’auditorium di San’Anna – Verbania, l’8 marzo è in programma “Virginia, una storia di baci e bugie” della Compagnia Teatrale La Pulce.

E se proprio non potete fare a meno dei fiori, aspettate una settimana: il 16 marzo riapre Villa Taranto e ci sono i bellissimi agrumi di Cannero.

Tanto i fiori sono già qui, di due grandi artiste: Georgia O’Keefe e Tina Modotti.

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E a proposito di artiste, c’è lei, la magnifica, che ha fatto così i conti con la violenza subita: di lui – vi sfido a ricordarne il nome sui due piedi – chi ricorda l’opera, invece ?

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Giuditta e Oloferne - Artemisia Gentileschi

Giuditta e Oloferne – Artemisia Gentileschi


Di cosa parlo quando parlo di correre

Da sole o in compagnia?

Impresa individuale o società?

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Kathrine Switzer corse la maratona di Boston nel 1967 sotto mentite spoglie, perche’ alle donne era vietato. Nel 1966 ci aveva provato Roberta Bobbi Gibb . Katherine, che si era iscritta come K.V. Switzer, portò a termine la maratona nonostante gli assalti degli arbitri. La gara, la sua gara, non fu mai omologata: ma poi ne ha corse tante e alcune le ha vinte.

Perche’ ostinarsi in una corsa, quando tutti dicono no, che non si può? Il coraggio viene forse dalla volontà di soddisfare un desiderio profondo: quello di non subire limiti e destini scelti da altri per noi, ma di seguire le nostre inclinazioni e le nostre passioni. Non a caso, Bobbi e Katherine scelsero proprio la maratona: la corsa e’ sinonimo di libertà, autonomia ed espressione di sé.

Uno dei pregi della corsa e’ che non ci sono vincoli: ciascuno corre quando vuole e può, sceglie il proprio percorso, il tipo di allenamento. Si può correre ovunque, vicino a casa, in pausa pranzo, al mattino presto o alla sera tardi, in vacanza e durante una trasferta di lavoro: basta volerlo e amare la corsa. Si decide e si parte – e durante il percorso si misurano le forze. Tra l’altro, questo rende la corsa uno sport alla portata di tutti, perche’ ciascuno si organizza come vuole. Niente orari prestabiliti, abbonamenti, impianti, attrezzature costose o di impegnativo trasporto: siamo noi, un paio di scarpe e una maglietta.

Ma andate su qualunque pista o percorso: dove sono le donne? Non se ne vedono.. O meglio, sono pochissime, come accade sempre in Italia quando si parla di sport e di sport impegnativi. Che tanti uomini invece li pratichino, forse può dirci qualcosa sul fatto che poi, nella vita, almeno in quella lavorativa, abbiano molto più successo.

Poche donne corrono, poche corrono “sul serio” . Eppure, non ce n’è una, soprattutto se lavora e ha una famiglia, che non vi dica: corro tutto il giorno, passo la mia vita a correre. Corriamo a casa, in posta, dal dentista, corriamo a scuola e poi via di corsa verso l’ufficio. La nostra vita è una corsa ad ostacoli e spesso una corsa in salita, ma siamo sempre le prime a correre in aiuto, il pensiero corre a figli, mariti e fidanzati e siamo sempre pronte a correre qualche rischio. Corriamo, corriamo e troppe volte corriamo dietro a qualcosa o qualcuno che ci sfugge.

La vita è una metafora della corsa, sostengono alcuni appassionati: senza arrivare a questi estremi , se dobbiamo scegliere la corsa come metafora della nostra vita, che sia almeno una bella corsa!

Si corre perche’ correre e’ bello: corriamo, semplicemente, perché ci rende felici. Impossibile – e insensato – spiegarlo a chi la pensa diversamente o non ha mai provato.

La corsa può persino insegnarci qualcosa sul lavoro autonomo e sul fare impresa. Cosa serve per correre?

– Studiare, imparare, avere una prospettiva, quello che di solito si chiama pianificazione. Serve un programma di allenamento – uno magnifico per principianti lo trovate insieme a tanti consigli sulle pagine di Roberto Albanesi, – monitorare e analizzare i risultati, conoscersi e capire i propri limiti, darsi degli obiettivi – ragionevoli e sfidanti, come correre 10 km. in un’ora, il minimo per definirsi runner – e una strategia per raggiungerli.

– Disciplina, pazienza, capacità di non perdere di vista l’obiettivo. In una parola, resilienza, la capacità di mantenere la motivazione. Correre è faticoso. E’ molto faticoso. Chiunque, anche i più grandi campioni, vi dirà che sì, certi giorni proprio non si ha voglia. Certi giorni? Succede spesso. Eppure ciascuno, grandi campioni e semplici appassionati, trova la molla per partire, alzarsi presto o affrontare il freddo o la pioggia. Ciascuno a suo modo. In un suo bellissimo libro – il cui titolo originale e’ stato preso in prestito per questo post – Murakami Aruki ricorda che

“ Pain is inevitable. Suffering is optional”… Supponiamo per esempio che correndo uno pensi “Non ce la faccio piu’. E’ troppo faticoso” . La fatica è una realtà inevitabile, mentre la possibilità di farcela o meno è a esclusiva discrezione di ogni individuo.

Infine: c’e’ una partenza e un arrivo, quello che si fa e come lo si fa fra l’inizio e la fine, lo decidiamo noi.

– Saper perdere,  imparare dagli insuccessi. Le cose possono andare storte: nella corsa, come nella vita, si sbaglia. Si fallisce. E può capitare di non avere più voglia, il momento in cui subentra il runner blues “la delusione per gli sforzi che avevo fatto che non sono stati compensati, quasi un senso di ingiustizia per una porta che avrebbe dovuto stare aperta e, non sapevo quando, si era chiusa”. Le porte si chiudono, anche se non ci piace e non ce lo siamo meritato. E come si fa? Per la corsa, il suggerimento e’ di sviluppare una mentalità vincente: cioe’ leggere le cose come sono e non come si vorrebbe che fossero, coltivare l’ottimismo e la determinazione. E poi vale sempre, quando la delusione o la ferita e’ troppo grande, mettere un passo dietro l’altro e concentrarsi solo su questo, un passo dietro l’altro – dai che qui siamo brave!

– Sapere stare da sole. Ci sono scelte che possiamo compiere solo noi. A volte, avvertiamo una profonda solitudine. Possiamo pero’ scegliere come vivere questi momenti e la corsa può insegnarci qualcosa. Si può correre da soli o in compagnia, ci sono corse a squadre, nella staffetta ci si passa il testimone, si può correre anche per dare una mano agli altri come fanno le guide per ciechi : ma ciascuno misura se’ e le proprie differenze. Lo stesso percorso, persino se compiuto nello stesso tempo, e’ diverso per ciascuno e ciascuno vedrà o non vedrà cose diverse, acolterà alcuni suoni e non altri, seguirà alcuni pensieri, avrà tempi di recupero diversi, sarà più o meno soddisfatto. Il senso di isolamento e di scoramento che ci assale, che e’ altro modo di vivere la solitudine, possiamo superarlo forse solo accettando la nostra unicità, i nostri punti di forza e debolezza, che dobbiamo conoscere e valorizzare nella vita come nell’attività d’impresa.

La corsa, nella sua essenza, è una sfida verso se stessi. Ma come, la competizione sul mercato è una faccenda ben diversa: si compete con mille altri concorrenti e l’importante è vincere, sbaragliare gli altri. Giusto? No.

Le imprese che vincono, vincono perche’ tutti i giorni accettano una sfida, brutale e immediata: fare meglio del giorno prima, impegnarsi e cercare di superare se stessi. Guardare avanti, darsi degli obiettivi e una strategia per raggiungerli, conoscere se stessi e l’ambiente, cogliere i segnali, studiare i risultati e imparare dai fallimenti – beh, evitare almeno di ripetere lo stesso errore – mantenere altra la motivazione, amare quello che si fa.

Non pensate anche voi che il successo sia fare bene quello che si ama?

Allora, partiamo con il piede giusto, scegliamo la strategia più adatta. Deciso qual’e’ la nostra intrapresa, partiamo da sole o in compagnia? Nel dubbio, le domande giuste sono: che tipo di attività vogliamo svolgere? Quanti capitali ci servono? Qual è il rischio che affrontiamo? !

Qui trovate le informazioni per districarvi fra le diverse forme giuridiche. E qualche consiglio.

(E a quelli che vi dicono “Corre? Ah, brava, che energia. E poi, bisogna muoversi” rispondete tranquillamente “Ma io non mi muovo: corro!”)